sabato 9 marzo 2013

Barton Fink - È successo a Hollywood dei fratelli Coen (1991)


Barton Fink – quarta pellicola dei fratelli Coen - rappresenta il superamento di un impasse creativo vissuto dal duo di cineasti ai tempi della scrittura di Miller’s Crossing. È così succede che, abbandonando temporaneamente il progetto in corso, Joel e Ethan scrivano Barton Fink in sole tre settimane. Abituati a ragionare sul genere e a rielaborare immaginari i Coen costruiscono qui uno dei personaggi più interessanti della cinematografia contemporanea, quel Barton Fink interpretato dall'immenso John Turturro (che collaborò alla stesura del personaggio rendendolo più umano). Barton Fink è incarnazione dell’intellettuale puro e utopico, integro e fragile (perché poco duttile), calato da Broadway nella Oscura Babilonia di Hollywood, con i suoi giganteschi ingranaggi seriali e i suoi rivoli di sangue e lacrime ai lati dei marciapiedi.
Molto si è ragionato su quanti e quali siano stati i materiali culturali utilizzati dai Coen per la pellicola: l’horror, il thriller à la Hitchcock, i classici delle letteratura anglosassone, la Bibbia, la rappresentazione dell’industria cinematografica, il fascismo, l’omosessualità, la schiavitù, l’ingresso degli Stati Uniti nel Secondo Conflitto Mondiale. Sappiamo, però, che quella dei Coen non è mai una mera citazione quanto piuttosto una complessa rielaborazione che supera i territori già battuti del postmodernismo. 
I Coen elaborano una visione in grado di calare lo spettatore al fianco del protagonista nel suo viaggio da New York a Hollywood, nel passaggio dall'elitarismo snob delle produzioni teatrali alla mercificazione più bassa della grande major, pronta a rendere Barton uno dei tanti schiavi consenzienti (passaggio che ritroveremo nella pellicola successiva Mister Hula Hoop). Barton tenterà di evitare il giogo prendendo alloggio all’Hotel Earle (un meraviglioso riferimento all’Overlook Hotel di Shining). La tappezzeria “organica” sui colori del verde e dell’ocra, l’assenza/presenza di coinquilini di cui registriamo l’esistenza solo dalla fila ordinata di scarpe da lucidare fuori dalla porta nonché dagli orribili suoni “viscerali” provenienti dalle camere, il solipsistico ritratto della donna sulla spiaggia come unico vezzo dell’angusta camera di Barton, l’Hotel Earle è lo scellerato ventre materno che accoglie il protagonista per restituirlo a sé stesso degradato, insicuro, sconfitto. 

Sarà proprio qui che il nostro incontrerà Charlie Meadows (interpretato da quella pasta di pane di John Goodman) il simpatico e rumoroso vicino di camera che traghetterà il nostro nel più infernale degli incubi. Il personaggio di Charlie è straordinario perché rivela sé stesso continuamente: non solo incarna – come molti hanno scritto – l’ascesa del regime nazista ma fa da immagine speculare, da doppelgänger a Barton affermando nel finale surreale e quanto mai Avant-Pop (l’albergo trasformato in inferno dantesco in cui scontare il resto della propria condanna) che i suoi ripetuti assassinii hanno lo stesso valore programmatico delle opere di Barton: alleviare le sofferenze altrui.
Non ci resta che lasciare l'artista (e la sua condizione) sulla spiaggia, con la scatola mai aperta donatagli da Charlie (vaso di Pandora? Velo di Maya? Placebo amicale, orribile reperto?) all'interno della sua consolante visione finale, un perfetto compendio al messaggio olistico e retro-surreale voluto dai Coen per la loro pellicola.


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