venerdì 4 gennaio 2013

Anatomia della ragazza zoo di Tenera Valse (2012)


Ci sono libri la cui lettura è una continua deflagrazione, libri in grado di provocare dolore fisico, capaci di porre il lettore di fronte a se stesso, alle proprie paure e menzogne, alla propria miseria, ai propri desideri. Leggere uno di questi libri vale l’appellativo di «esperienza» e senza dubbio si tratta dei libri migliori. Quest’anno solo Anatomia della ragazza zoo di Tenera Valse (Il Saggiatore) mi ha ricordato cosa significa tutto questo. Il romanzo è un lungo e articolato viaggio nell'atlante anatomico di una famiglia italiana. Una famiglia la cui medietà diverrà l’orribile paradigma di un intero paese. Quella che il lettore trova in Anatomia della ragazza zoo è una meravigliosa ontologia per immagini che, materiche e sensoriali, l’autrice dipana secondo una precisa visione disciplinare. Il romanzo è la più lucida riflessione sul femminile oggi reperibile in narrativa. Un femminile che fa dell’integrità di pensiero, dei «magazzini della memoria» percorsi secondo sentieri mai perduti, dell’intimità più organica, la propria cifra identitaria. Femminile con cui deve confrontarsi l’intera famiglia Pensi, a partire dalla polimorfa Alea (che riconosciamo come figlia della Contessa Maria di Palazzeschi) nella cui rappresentazione si specchia la miseria di un intero sistema di pensiero, sterile, contorto e doloroso. Un sistema che è causa asfittica per più di una generazione. Alea s’incarna e si declina, nel confronto con il mostruoso padre diventa moltitudine di visioni e direzioni. Alea muta in vertice, spirale, cuspide, in un gioco identitario che ha le caratteristiche di un rompicapo visivo à la Escher.
Il femminile si declina nella madre Rina, che rimette la propria maternità alle scelleratezze totalitarie del marito, il preside Pensi, orribile uomo-traccia le cui pulsioni celate – da pavido e folle qual è – corrodono irrimediabilmente l’esistenza dei figli. Pulsioni che ne scompongono la figura (che egli vorrebbe eroica) in un’opera puntinista che è poi un’immagine insostenibile.

In Anatomia della ragazza zoo le immagini si affastellano e si dipanano, si distendono come tessuti organici, prendono forma nello spazio infantile della casa tarantina, si fanno esperienza nella memoria e anticipano la tragedia dell’oggi che si svolgerà sul proscenio di una Roma in grado di coagularsi e diluirsi continuamente nel flusso macronarrativo.
Mentre la vicenda giunge all'unica risoluzione possibile - dai connotati immaginifici, concettuali e organici come fossimo in un film di David Lynch o David Cronenberg – è impossibile non godere dell’abilità di Tenera Valse nell'utilizzo della lingua italiana (integra e cosciente di sé), dei riferimenti alla cultura latina e delle stupende composizioni poetiche di Alea. Tutte peculiarità che arricchiscono e completano un’esperienza di lettura non a torto né con leggerezza da considerarsi unica.

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