lunedì 15 ottobre 2012

Suburbia e orrori sepolti: le origini di Desperate Housewives


Lor signori sono i benvenuti a Wisteria Lane, la zona suburbana più ambita di Fairview. Come potete vedere il quartiere è più che elegante, prati curati, steccati impeccabili e, statene certi, qui troverete non solo del buon vicinato, troverete il migliore.
Siamo sinceri, avete mai visto niente di più incantevole?

Con Desperate Housewives il produttore e scrittore Marc Cherry riprende l’intera cosmogonia di quella suburbia che negli anni Cinquanta colpì l’interesse della scuola di Francoforte. Allora Horkheimer e Adorno, osservando la way of life statunitense, elaborano quella critica della società presente che puntava la lente su minimalismo morale (attitudine a non andare al di là dell’interesse privato) e contraddizioni del contemporaneo vivere collettivo. Prima di Cherry era stata Grace Metalious a rappresentare la suburbia e le sue contraddizioni nell’antesignano e meraviglioso Peyton Place. Nel libro della «Pandora in blue jeans» la cittadina è descritta con precisione e i luoghi sono parte integrante dell’identità dei personaggi, ne sono emanazione e prolungamento della personalità. Metalious sa che perfezione e ferocia s’incontrano e si sposano felicemente nell’opinione pubblica, sa anche che la way of life post secondo conflitto mondiale impose status symbol fisici e comportamentali ma che sotto la cartellonistica a pastello è sempre stato tutto un brulicare di passioni imperfette, violente, sensuali e perverse.
Marc Cherry ha metabolizzato la lezione di Metalious dandogli nuova vita nel quartiere di Wisteria Lane, a suo volta ben strutturato (tanto che Wikipedia ne propone la piantina con la storia di tutte le abitazioni), ogni casa ha la sua identità, che permane e amplifica quella della famiglia che la abita. Il fiume carsico che si muove sotto le meravigliose abitazioni di Wisteria Lane ha origini lontane, muove dallo steccato bianco dipinto da Tom Sawyer e passa per le abitazioni celanti orrori innominabili di Poe e Lovecraft, continua il suo percorso per diramarsi verso il genere melò à la Douglas Sirk (non a caso genere amato e scelto da altri artisti Avant-Pop quali John Waters e Pedro Almodóvar), la satira sociale e, ovviamente, il noir. Quando la casalinga Mary Alice Young rassettato come ogni mattina, decide di spararsi un colpo alla testa riemergono, attirati dal sangue fresco sul tappeto buono, orrori sepolti, rancori dissimulati, azioni innominabili e vendette dalle ombre lunghissime.

Felicia Tilman arriva a Wisteria Lane.
Man mano che si dipana la storia, impariamo ad amare le quattro protagoniste (che sia detto ci mancano tanto quanto i chirurghi di Nip/Tuck e i naufraghi di Lost): la goffa Susan (Teri Hatcher), la caliente e fedifraga Gabrielle (Eva Longoria), l’ex pubblicitaria e madre di quattro figli Lynette (Felicity Huffman) e lei, anzi colei che porta il “camp” persino nel nome, Bree Van De Kamp (Marcia Cross), casalinga perfetta, incarnazione dell’immaginario conservatore messo in crisi già fra le mura domestiche (in particolare da un marito dedito al sadomaso e un figlio ribelle e omosessuale). Le quattro casalinghe pur affrontando la crisi (spesso agghiacciante perché silenziata fra le mura domestiche) delle proprie realtà, portano avanti le indagini fra i vialetti e i prati curati del quartiere per scoprire cosa ha portato Mary Alice al suicidio. Sarà l’arrivo di Felicia Tilman a muovere la vicenda verso la risoluzione. È questa una meravigliosa e disturbata creatura watersiana. Lo capiamo già dalla sua comparsa quando scende da un taxi per prendere possesso della casa appartenuta alla scomparsa sorella Martha Huber (trovata strangolata nella sua cucina): caschetto nero, foulard d’ordinanza e tanto cinismo da smascherare tutta l’ipocrisia del quartiere in un sol sorso di caffè. Le affinità con il cinema del «re del vomito» John Waters (ma non solo, si pensi agli inserti pop-onirici à la Coen Brothers), non finiscono certo con la mefistofelica Felicia. Ricordiamo che la suburbia (vista sotto una lente aberrante e amabilmente trashy) è il setting d’elezione di molte delle produzioni watersiane, una su tutte La signora ammazzatutti, che condivide con Desperate Housewives la rappresentazione del minimalismo morale. Infine alcuni incidenti autostradali, salvifici e posticci, sembrano richiamare direttamente un certo finale in Odorama

In definitiva la prima stagione di Desperate Housewives ha assunto negli anni un valore culturale centrale nella comprensione della cultura sociale americana, punto di continuità di una riflessione che ha origini lontane e polimorfe e che continua a incarnarsi andando verso una normalizzante e irrimediabile deriva.

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