mercoledì 26 settembre 2012

Lo spazio sfinito di Tommaso Pincio


«Siccome TUTTE le versioni accettate del passato sono state in qualche misura falsificate nella trasmissione ai posteri, gli artisti contemporanei dovrebbero sentirsi liberi di inventare una qualsiasi versione a propria scelta.», questa citazione di Larry McCaffery, che così compendiava la sua antologia Schegge d’America. Nuove avanguardie letterarie è perfetta per introdurre il romanzo Lo spazio sfinito di Tommaso Pincio pubblicato nel 2000 nella leggendaria collana Avantpop di Fanucci e ripubblicato nel 2010 da Minimum Fax. Lo stesso autore introduce così la sua storia «Questo libro è frutto dell’immaginaria manipolazione di una storia mai accaduta. Nomi, persone e fatti coincidono talvolta con la realtà ma nelle intenzioni dell’autore si riferiscono esclusivamente al mondo della finzione». Il romanzo è ambientato in un immaginifico, soffuso e malinconico 1956 “altro”, in cui le multinazionali travalicando i confini produttivi e finanziari hanno già permeato la realtà terrestre dividendosi il controllo di uno spazio che è più categoria ontologica che luogo fisico, un’idea simbolica e memetica che stimola l’immaginazione delle masse di consumatori, così monetizzata e controllata. Fra i giganti la Coca Cola Enterprise Inc. stimola non solo il palato ma anche i desideri dei consumatori, attraverso invenzioni pubblicitarie come le bottiglie Space che offrono la possibilità di una visione interstellare (non priva di rischi) comodamente racchiusa all’interno di un prodotto facilmente reperibile sullo scaffale del supermercato. Per la compagnia trova lavoro Jack Kerouac che dovrà svolgere la semplice e alienante mansione di controllore di orbite. Il suo capo è uno spocchioso e idiosincratico Arthur Miller, sposato con una certa Norma Jeane Mortenson, creatura triste e sola, imprigionata in una futuribile casa posta su una cascata.


Lo Jack Kerouac de Lo spazio sfinito (disegno di T. Pincio). 
Nell’universo de Lo spazio sfinito oltre a Kerouac e Miller, riconosciamo i simulacri simbolici e reinterpretati di Neal Cassady (anche qui amico di Kerouac sopra le righe), Bill Burroughs (qui investigatore drogato di pillole all’ossigeno), attraverso le comunicazioni fra controllori interspaziali ci arrivano le voci di James Dean (che lavora per il Walt Disney Institute), Kevin McCarthy (DNA Inc.), Cary Grant (Du Pont Co.), è persino citato l’affaire «a sangue freddo» fra Lucien Carr e il suo stalker ante-litteram David Kammerer, ma è lei a giganteggiare: la splendida e assoluta icona Marilyn Monroe che non possiamo fare a meno di amare e idolatrare anche qui, dove Tommaso Pincio la divide in due personaggi, Norma Jeane Mortenson, moglie turbata e Marilyn Monroe, modella, attrice e commessa in una libreria senza libri, sovrastante qualunque impiego, magnetica nel suo simbolico rossetto specchiato. Di lei s’innamorerà perdutamente Neal Cassady instaurando un rapporto telefonico con Norma Jeane (che crede la sua Marilyn). Una storia d’amore analogico che diventa metafora letteraria.
Il valore del simbolo e della simbolizzazione è essenziale ne Lo spazio sfinito. Siamo in America, dove la cultura (e quindi la società) trova fondamento nel simbolo, ed è lo stesso nell’universo “altro” e Avant-Pop di Tommaso Pincio, «Negli anni Cinquanta il valore simbolico delle cose era fondamentale. La gente si vestiva tutta allo stesso modo e pretendeva un significato per tutto. Ogni cosa doveva corrispondere a qualcosa. Gli atti sconvenienti erano quelli che non avevano un significato chiaro.» (p. 56). il simbolo è qui lo strumento per trasformare l’intellegibile flusso storico in un insieme di materiali da decostruire, trasformare, ricollocare.
La presenza degli storici impegnati nella ricostruzione delle vicende narrate (ma sarà poi davvero così?) nonché la presenza del libro di Marc Bloch Storia e passatempo (presente solo nel 1956 de Lo spazio sfinito), sono ulteriori metafore della “possibilizzazione” della storia alla base di questa stupenda narrazione, «è quella che gli storici chiamano possibilizzazione del Passato e si fonda sull’idea che la realtà non sia altro che un piano inclinato e che i fatti non possano far altro che rotolare verso il basso ovvero verso la finzione» (p. 67).

Fra simboli e immagini meravigliose (come le catwalker nello spazio e tutto il capitolo 1956) Tommaso Pincio chiude la sua narrazione in un inghiottire malinconico, un fade to gray già saturo, in qualche modo corrotto, che ci lascia in uno stato di sadness, tutt’oggi categoria emozionale e artistica contemporaneissima. 

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