domenica 23 settembre 2012

È stato il figlio di Daniele Ciprì (2012)


Un microcosmo simmetrico e miserando, stretto nell’abbraccio mefitico di un complesso architettonico che giganteggia, circonda e sovrasta chi lo abita è il proscenio d’elezione del primo film di Daniele Ciprì, senza il contributo di Maresco, È stato il figlio, una prova eccellente, compiuta e già iconica. Tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo, il film è il racconto parossistico di una famiglia povera, i Ciraulo, colpiti dall’improvvisa morte della figlia Serenella, cui lo stato promette del denaro di risarcimento per assassinio di mafia, input economico che all’interno del microcosmo popolare dove vivono i Ciraulo non tarderà a innescare i meccanismi della tragedia.
È stato il figlio è opera brillante, visivamente unica nel panorama cinematografico odierno. Le capacità di direttore della fotografia di Daniele Ciprì danno qui il miglior esito possibile: le cromie storiche (la vicenda narrata è ambientata negli anni Settanta ma è raccontata in una filiale delle Poste Italiane approssimativamente negli anni Novanta), una netta luce che illumina senza remore il cortile desolato del complesso popolare dove abitano i Ciraulo, i cieli plumbei che sovrastano le scene imprigionando lo sguardo, collimandolo emotivamente sulla vicenda, le desolate spiagge e l’immaginario della Kalsa, che già fu de Le buttane, ricostruito fra Brindisi e Mesagne. Ciprì sia detto, è un regista di grande valore, narra la tragedia irreale dei Ciraulo con un ritmo perfetto, in cui s’incasellano ironia pirandelliana, attitudine fiabesca à la Pitrè - nei racconti di nonno Fonzio che cita anche il mito di Colapesce, come nell’impostazione narrativa della vicenda stessa - sguardo verista, soprattutto nella seconda parte del film con il tentativo di riscatto personale da parte di Nicola Ciraulo, che investe tutti i soldi del risarcimento per acquistare una Mercedes «blu presidenziale» e che inevitabilmente finisce per collocare i Ciraulo in una declinazione surreale e alla deriva del Ciclo dei vinti. 

La famiglia Ciraulo al mare.
Ciprì per È stato il figlio elabora un’impostazione teatrale, che aumenta nello spettatore la sensazione di straniamento, non rinunciando però a un certo dinamismo che abbassa lo sguardo e lo introduce, sinuoso, fra le pieghe della narrazione, mostrando sguardi, atteggiamenti e scorci che ne completano il racconto. Quest’attitudine teatrale è evidente nelle meravigliose perfomance del cast: Toni Servillo è immenso nei panni, negli sguardi rotondi e facili all’incendio di Nicola Ciraulo, Fabrizio  Falco (Premio Marcello Mastroianni alla 69esima Mostra del Cinema di Venezia) è il fragile, innocente e inetto Tancredi, Aurora Quattrocchi (Malena, Ragazzi fuori, Mery per sempre) è la nonna Rosa, la scarmigliata donna fatale (a metà fra teatro greco e visione orrorifica) che costruirà il tragico finale, Giselda Volodi (Pane e tulipani, Viola di mare) l’esile e dipendente moglie di Nicola. Intorno a loro una fauna freak e weird che richiama alla memoria i personaggi di Cinico TV, Totò che visse due volte e Il ritorno di Cagliostro: il signor Pino, strozzino dai due volti (letteralmente…), l’avvocato strabico e forforoso, i vicini che si affacciano nell’espressionista scala a triangolo del complesso popolare. Una corte dei miracoli fra cui si mimetizzano figure allegoriche di nero presagio e innocenza tradita.

In definitiva È stato il figlio è una visione imprescindibile che fotografa perfettamente la teatralità e la surrealtà connaturati nell’isola siciliana.

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