martedì 18 settembre 2012

Forma tragedia, eredità e finanziamenti bellici: la quarta stagione di Damages (2011)


Con la quarta stagione la serie di culto Damages, il più complesso e interessante prodotto televisivo degli ultimi dieci anni, sbarca su un nuovo canale, Audience Network della piattaforma satellitare DirecTV, dopo la remissione da parte di FX. C’è da essere felici, non solo per il ritorno di una serie che era stata data per spacciata, ma soprattutto perché la nuova produzione ha rispettato le istanze originali della serie esaltandole attraverso l’aggiunta al cast dell’icona assoluta John Goodman e dell’ottimo interprete di film indipendenti Dylan Baker.
La stagione apre, ancora una volta, su una New York tentacolare e celata, in cui Ellen Parson (Rose Byrne) sta cercando di raccogliere prove per intentare una causa contro il magnate mercenario Howard T. Erickson (John Goodman) che vende al governo degli Stati Uniti un servizio militare privato, una vera e propria milizia a pagamento, da impegnare in zone di guerra e guerriglia, come l’Afghanistan. Erickson si trova a un punto cruciale della sua attività, il Congresso non desidera più rinnovargli i contratti per non scontentare l’elettorato e l’opinione pubblica, contraria alla mercificazione della guerra, soprattutto in tempi di crisi. Dietro l’ottuso Erickson si muove il mefistofelico Jerry Boorman (Dylan Baker), agente della CIA, scriteriato, torturatore e privo di qualunque scrupolo. Jerry ed Erickson sembrano essere legati da un oscuro segreto, una missione scellerata, in cui sono morti tre uomini ed è stato rapito un bambino.

Dopo aver affrontato i temi della class action (prima stagione) dell’inquinamento (seconda stagione), della frode  finanziaria (terza stagione), questa volta Damages si occupa della guerra e dei finanziamenti riservati alle attività militari. L’argomento ha per l’opinione pubblica una grande rilevanza, i cittadini dopo le menzogne arrabattate di George W. Bush e Dick Cheney e soprattutto dopo la crisi economica, ritengono essenziale l’assoluta trasparenza sull’utilizzo del denaro utilizzato per le costose operazioni militari di cui non si riesce a spiegare la funzione reale. Il merito della serie, una volta di più, sta nel costruire un caso mimetico alla realtà che assume, attraverso un lavoro di scrittura magnifico e una recitazione d’eccezione (godete di ogni singolo cambio d’umore nello sguardo di Erickson, della paura sottesa a ogni sua decisione), i connotati alti della forma tragedia (il rapporto tra serialità e tragedia andrebbe indagato maggiormente come uno dei migliori segnali prodotti dalla cultura contemporanea, N.d.R.).

Questa quarta stagione porta il rapporto di Ellen e Patty a un nuovo livello. Glenn Close è magnifica nel realizzare i silenzi stanchi e meditabondi di Patty. Silenzi che punteggiano la narrazione rappresentandone la vera chiave di volta. Messa a dura prova dai terribili lutti che l’hanno colpita nel recente passato (come il socio Tom Shayes, pace all’anima sua), dagli abbandoni e allontanamenti del marito fedifrago e del figlio, nonché da un’eventuale terribile malattia della nipote, Patty continua a osservare il cammino di Ellen. Inconsciamente (ma sarà poi così davvero?) la segue e supporta nel suo operato, probabilmente in attesa di un guizzo ereditario nettamente riconoscibile. È forse questo il tipo di pace cui Patty aspira, o c’è qualcosa di più grande nel suo disegno?

La risposta, come sempre, nella season finale in cui le due donne si ritrovano per il consueto confronto. Questa volta però rimangono a New York, è finito il tempo delle pause postbelliche fuori città e gli eventi non aspetteranno oltre prima di investire le due protagoniste. Il monologo che impegna Patty di fronte a Ellen, «il fallimento è solitudine», è iconico e illuminante nei confronti della percezione che essa ha di se stessa e del suo lavoro. Sarà pronta la giovane Parsons ad abbracciare tutto questo o dimostrerà che una scelta, un’alternativa, nonostante l’esperienza di Patty è possibile?

Nessun commento:

Posta un commento