martedì 24 aprile 2012

Nina dei lupi di Alessandro Bertante (2011)

Ripropongo di seguito il post dedicato al romanzo Nina dei lupi di Alessandro Bertante scritto nell'aprile 2011 per il blog collettivo MilanoRomaTrani:


Nina è un’apparizione. Lo è all’inizio della narrazione quando seduta di uno sgabello traballante mostra al lettore i tratti indeterminati – a metà tra fanciullezza e adolescenza – del suo volto e della sua postura, lo sarà ancor più alla fine quando le leggende si saranno unite nel mito e la sua descrizione verrà definitivamente affidata alla mitologia del racconto orale.
All’inizio della vicenda Nina, postmoderno eroe fiabesco, sarà costretta ad abbandonare la sicurezza artificiosa e incantata di Piedimulo, il paese isolato fra i monti in cui vive coi nonni dopo essere scampata alla Sciagura che ha portato alla fine della civiltà così come la si conosce. Abbandono che coinciderà con il ripudio di quelle ingenuità tipiche di un’infanzia fin troppo reiterata in favore di una visione più estesa e matura della realtà. Riconosciamo tale tendenza già dopo la misteriosa esperienza del «territorio oltre il ruscello» mostratole dal nonno Alfredo e di apparizione in apparizione Nina giungerà al compimento del suo percorso di formazione: l’abbraccio salvifico dell’uomo dei lupi che la introduce alla sua nuova condizione (che sarà soprattutto femminile), l’incontro con il grifone (la presa di coscienza nell’espressione «chi oltre a me?» della filastrocca che ripete a sé stessa), il primo contatto con il capobranco della muta di lupi che governano la foresta (il futuro, l’indeterminatezza), l’uccisione del capriolo (la maturità, l’attitudine materna al sostentamento della progenie). I lunghi e biondi capelli di Nina verranno legati in una treccia sempre più lunga, i vestiti della fuga da Piedimulo saranno sostituiti da quelli trovati nella casa fra i boschi, la castagna (amuleto prediletto da stringere nei momenti di difficoltà) verrà legata al collo per essere esibita allo sguardo di alleati e nemici, infine come predetto dalla strega Diana l’epilogo ne consegnerà la descrizione (o meglio le descrizioni) ai racconti orali che ne canteranno le gesta. Racconti che la descrivono ancora una volta per immagini: Nina che correi coi lupi, Nina e il Fondatore, Nina che stringe le mani a un vecchio amico ormai orbo e zoppo nell’atto di ricondurre i dettagli della sua infanzia – amplificati dall’epica del racconto – a una dimensione privata e personale.

Dei luoghi, degli ambienti e dei personaggi Alessandro Bertante dà delle descrizioni che – come accade nel racconto orale – pur essendo accurate lasciano al lettore la possibilità di immaginare e costruire la propria esperienza della vicenda. L’assenza di orologi, di un calendario, la modernità negata dalla comunità di Piedimulo (rappresentata dalla galleria ostruita che congiunge la valle con il resto del mondo) collocano gli eventi in un contento indeterminato e aspecifico che sottolinea la natura squisitamente fiabesca della narrazione.
Come profetizzato da Tiziano Terzani in La fine è il mio inizio in Nina dei lupi (Marsilio Editori) è il crollo dei sistemi economici a provocare la Sciagura che ha distrutto la civiltà così come la conosciamo. Se poi di civiltà si può parlare leggendo i profili che l’autore offre dei predoni: adolescenti socialmente inabili, uomini del sottosuolo annidati fra gli scaffali del supermarket, avanzi di un sottobosco di quartiere che sembra avere parentela con quelli de Il contagio di Walter Siti. L’umanità ritornata allo stato ferino viene altresì piagata dalla Sindrome (un indeterminato insieme di malattie) che decima enormemente la popolazione. Sindrome annunciata dal striature policrome che solcano il cielo e che sembrano dover rappresentare l’arrivo di un insieme di diverse infezioni o agenti chimici aerosolizzati pronti a calare silenti sulla popolazione.
La metafora ecologica della società di Piedimulo – come quella della favola La cicala e la formica – è chiara e esemplare nella sua semplice e diretta manifestazione sulla pagina: Alfredo il capo-protettore (già sindaco) di Piedimulo all’indomani della Sciagura ha elaborato per i suoi concittadini un modello societario votato al risparmio e all’efficienza: la comunità tutta è una risorsa e lavora in sincronia per il bene di tutti i suoi componenti ottimizzando le risorse stagionali in vista dell’inverno e di eventuali momenti di crisi.
Infine risulta interessante leggere Nina dei lupi da una prospettiva di genere: la protagonista è Nina, assunta al mito durante la presa di coscienza della propria femminilità, la nonna di Nina come ultimo gesto decide con coraggio di immolarsi per la salvezza della nipote, Diana – guida spirituale e futuro tramite della leggenda – è un arché femminista: la vediamo spesso accanto al simulacro di Brigida nella chiesa di Piedimulo dove viene tenuta prigioniera e ancor prima di salvare il proprio figlio libera Maria e Giovanna, le compagne di schiavitù che come lei sono state ripetutamente violentate e vessate dai predoni.

Lupi come nuovo pantheon divino: è certamente questa l’immagine più interessante del romanzo. La descrizione della caccia di giorno con l’enorme branco già socialmente strutturato ed efficientissimo (in contrapposizione al disfacimento e alla corruzione della comunità umana), il leggendario incontro del capobranco con Nina, l’attacco dei lupi Tito e Alma ai predoni che hanno osato attraversare il confine segnato dal ruscello e infine la mitologica battaglia intorno alla pira nella piazza di Piedimulo, sono tutte immagini che strutturano un’epica fantasmagorica e ancora una volta di immediata trasposizione nel racconto orale.
Nel nuovo mondo tutto è scandito da rituali: scrivere la data sulla lavagna nel municipio, accendere periodicamente il telefono per provare a chiamare i numeri di pronto intervento, i giochi antichi, appendere fantocci in luoghi strategici, seppellire una vipera viva fra la propria casa e la stalla. Essi trovano espressione negli inserti paratestuali di natura etnologica del romanzo quali filastrocche, canti e motti elaborati principalmente intorno alla figura di Diana che non a caso nel vecchio mondo era un’antropologa (giunta a Piedimulo per studiare le tradizioni popolari della valle) e che dopo la Sciagura e la caduta di Piedimulo assume le fattezze di una strega, una postmoderna Baba Jaga in grado di divinanare, maledire e benedire. Diana – lo dice lei stessa al «vecchio dio» Alessio – è capace di vedere cose che gli altri non saranno mai in grado di percepire. Sarà lei a distruggere lo scellerato Folco minandone prima le certezze in sogno – in un brano surreale e assai immaginifico in cui lupi antropomorfi da favola surrealista pongono il capo dei predoni di fronte alle sue nefandezze – proprio come nell’onirica presa di coscienza dell’Innominato ne I promessi sposi, per mettere poi fine nella realtà all’ottusa violenza dei predoni che nascosti dietro il vessillo di una comoda salvezza cristiana avevano continuato a perpretare dolore e violenza.

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