mercoledì 21 dicembre 2011

Pecker di John Waters (1998)


Con Pecker continua il percorso di normalizzazione e adattamento alla contemporaneità iniziato da John Waters con l’uscita di Hairspray. Grasso è bello e continuato con Cry Baby e in parte con La signora ammazzatutti. Un lavoro di recupero nostalgico dell’estetica e dell’energia giovanile, un ritorno alle origini, in parte autobiografico. 
L’operazione rappresenta per l’esteta e «pope of trash» John Waters una sorta di rifugio: quando la tua irriverente visione è ormai diventata mainstream non ti rimane che cercare riparo. In questo caso il regista torna ancora una volta a Baltimore, per ritrovare la quotidiana allure trashy che fu input per la sua attività artistica. Pecker condivide parte della biografia di Waters, l’ossessione per il particolare ributtante, la ricerca della stesso e la capacità di trovarlo, isolarlo e farne arte. Tutta la sessione di opening è un omaggio-antologia alla personale visione di Waters della zona suburbana di Baltimore: due ratti che si accoppiano in un cassonetto dell’immondizia, una donna che si depila con un rasoio sul bus, la sorellina iperattiva di Pecker che sevizia una bambola, sua nonna che fa parlare una statuetta dalla Madonna come un ventriloquo… Il messaggio è chiaro e ribadito dai tempi di Polyester: la suburbia è il nido dove è cresciuta e si è sviluppata una middle class che ha normalizzato il grottesco, accettandolo come parte di sé, non censurandolo (facendone infine arte grazie all’obbiettivo di Pecker). Si tratta di una fauna campy - basta guardare il negozio di abbigliamento della madre di Pecker, che finirà poi sulle pagine di «VOGUE» - dedita al cattivo gusto, orgogliosamente mainstream.


Waters fa sua la lezione di Walter Benjamin sulla riproducibilità dell’opera d’arte, materializzandola nelle sessioni “guerrilla” di Pecker e del suo fido aiutante cleptomane Matt. Sincopate sessioni di attacco fotografico in cui realizzare scatti unici, di grottesca bellezza. Si tratta di operazioni che ricordano quelle attuate in passato da Waters insieme alla scatenata gang dei Dreamlanders (Mondo Trasho, Multiple Maniacs, il cult assoluto Pink Flamingos) e che saranno riprese nel prossimo film del regista: A morte Hollywood.

Walter Benjamin
Come Waters anche Pecker si ritroverà a confrontarsi con il sistema dell’arte. Contattato da una pruriginosa gallerista di New York (Lily Taylor, la vampira di The Addiction di Abel Ferrara), il giovane fotografo si ritroverà catapultato nell’universo liberal (ma svuotato dai suoi contenuti programmatici e ideologici) e minimale del gotha artistico di New York*. La critica di Waters non è più, come in passato, rivolta alla borghesia, ma alla nutrita fauna intellettuale della Grande Mela: artisti, galleristi e collezionisti si muovono come comparse di una soap, rigorosamente vestiti di nero essi non esibiscono più la loro visione artistica, limitandosi a borbottare come le comari nel finale di Mondo Trasho… di contro la vitale borghesia di Baltimore è incarnata da Shelley (Christina Ricci), la fidanzata di Pecker che desidera riportare il giovane artista alle origini, sanguigne, reali nel loro aspetto trashy, di Baltimore (topica l’inquadratura che la vede baciare la terra di ritorno a Baltimore da New York). Tutta la comunità, che inizialmente ha goduto della fama di ritorno delle opere di Pecker, si sente ora tradita: il locale di spogliarelliste lesbiche in cui Pecker ha fotografato un primo piano pubico assai fortunato è stato chiuso, la sorella di Pecker che lavora in un club gay (scoprite da voi cos’è il tea bagging) viene inizialmente contattata da MTV per poi perdere anche il lavoro al club, la dolce nonnina-ventriloquo viene sconfessata da due perpetue integraliste e la sorellina Little Chrissy è messa sotto Ritalin. Sarà il rifiuto di un contratto con il Whitney Museum of American Art e l’apertura a Baltimore dell’orgiastico e campy Pecker’s Place a restituire l’energia creativa non solo al giovane fotografo ma a tutta la fauna arty di New York, eccezionalmente in trasferta. A Pecker, assediato dai fotografi che gli chiedono quale sarà la sua prossima mossa, non rimarrà che ammiccare e annunciare: penso di dirigere un film! Il cerchio autobiografico è chiuso.

*Particolare menzione meritano le apparizioni di Cindy Sherman nel ruolo di se stessa e dell’attrice criminale (nonché amica del regista) Patricia Hearst nel ruolo di una newyorkese assai procace.

Nessun commento:

Posta un commento